lunedì 8 luglio 2013

Pillole per l'estate





La malattia di Alzheimer è in parte causata da una ridotta eliminazione dei peptidi prodotti dalla degradazione della proteina β-amiloide (Αβ) con conseguente accumulo nel cervello. «Questo composto può essere legato a lipidi o a proteine di trasporto dei lipidi, come l'apolipoproteina E (ApoE), oppure essere libero in soluzione, quindi non lipidato» come spiegato dai geriatri del Dipartimento di medicina dell’Università dello Stato di Washington a Seattle in uno studio pubblicato su JAMA Neurology. I livelli non lipidati di Αβ sono più elevati nel plasma di adulti con Ad, ma poco si sa sulla loro concentrazione nel liquido cerebrospinale (Csf). Tuttavia comprendere l’ambiente lipidico liquorale in cui si trova Αβ e capire come modularlo è di estremo interesse, in quanto l’amiloide non lipidata forma più spesso oligomeri neurotossici»; sono stati studiati 20 adulti anziani con funzioni cognitive normali e 27 coetanei con lieve decadimento cognitivo. I pazienti sono stati suddivisi in modo casuali in due gruppi: il primo ha assunto una dieta ad alto contenuto di grassi saturi con elevato indice glicemico, mentre il secondo una dieta a basso contenuto di grassi saturi con ridotto indice glicemico. I risultati dello studio indicano non solo che i livelli basali di Αβ non lipidata sono più elevati nel gruppo con decadimento cognitivo, ma anche che la dieta con pochi grassi saturi tende a diminuire l’amiloide non lipidata, mentre quella ad alto contenuto di grassi saturi tende ad aumentarla. Questi risultati suggeriscono che la lipidazione dell’amiloide potrebbe giocare un ruolo nei processi patologici dell’Alzheimer, e che la lipidazione sembra influenzata dalla dieta, sottolineando che i dati del loro piccolo studio pilota dovranno essere replicati in casistiche più ampie prima di trarre conclusioni definitive. In un editoriale di commento Deborah Blacker, geriatra della Harvard Medical School di Boston, scrive: «Questo studio ci insegna che l'intervento dietetico potrebbe cambiare la chimica dell’amiloide cerebrale in modo significativo. La dieta povera di grassi è quindi efficace nei pazienti che vogliono evitare la demenza? Forse no, ma questi dati aggiungono un altro tassello alla dimostrazione che prendersi cura del cuore è probabilmente un bene anche per il cervello».
JAMA Neurol. 2013;():1-9


La malattia di Alzheimer sta rapidamente diventando una delle principali cause di disabilità e mortalità nei pazienti anziani. Con l'aumento dell'aspettativa di vita, un numero crescente di persone si baserà su moderni farmaci per il trattamento di patologie associate all'età. Tra questi farmaci, alcuni potrebbero portare beneficio, mentre altri potrebbero esacerbare la patogenesi della malattia di Alzheimer. Ricercatori del Mount Sinai Medical Center di New York, che hanno pubblicato su PLoS One le loro conclusioni, hanno esaminato 1.600 farmaci approvati dalla FDA per la loro capacità di modificare l'attività della β-amiloide ed hanno identificato dei farmaci che possono potenzialmente influenzare la processazionedella proteina precursore dell'amiloide. Spiega Giulio Pasinetti, professore di neurologia al Mount Sinai e coautore dell’articolo. Ho avuto il piacere di ascoltare Pasinetti inviato da me e dalla dottoressa Biunno del CNR ad una conferenza a Milano nel 2004: «Diverse medicine somministrate quotidianamente per curare malattie di frequente riscontro sarebbero in grado di bloccare o aumentare l’accumulo di beta-amiloide, la componente principale delle placche neurodegenerative tipiche dell’Alzheimer». Così, secondo Pasinetti, potrebbe essere possibile identificare farmaci comuni con attività preventiva o, al contario, concausale per l’Alzheimer. Per arrivare a queste conclusioni il neurologo del Mount Sinai E, sorpresa, alcuni di questi, attualmente somministrati per malattie frequenti come l’ipertensione, la depressione o l’insonnia, si sono rivelate effettivamente in grado di bloccare o aumentare la formazione di beta-amiloide. «Questa linea di ricerca potrebbe aiutare i medici che devono prescrivere il farmaco più appropriato nei soggetti ad alto rischio di Alzheimer» sottolinea Pasinetti, che per validare l’algoritmo ha somministrato i farmaci indicati dal computer a topi geneticamente modificati per sviluppare l’amiloide, constatando una riduzione delle placche dopo sei mesi di trattamento con antipertensivi. Uno di questi è il carvedilolo, un farmaco betabloccante non selettivo ora oggetto di studio per verificare la supposta capacità di rallentare la perdita di memoria. «Confidiamo che questi risultati portino in breve tempo a un fiorire di sperimentazioni cliniche atte a identificare quali sono i farmaci preventivi, da prescrivere a dosi tollerabili» dice il neurologo. E conclude: «Se fossimo in grado di riutilizzare per l’Alzheimer farmaci già impiegati con altre indicazioni, come per esempio l’ipertensione, questo potrebbe avere importanti conseguenze per gli ammalati».



Nuovi sviluppi farmacologici per la malattia di Alzheimer

Gli scienziati finanziati dall''UE stanno esaminando i meccanismi neurobiologici che sono alla base della perdita di memoria provocata dal morbo di Alzheimer, con l''obiettivo di sviluppare terapie mirate. La malattia di Alzheimer è caratterizzata da placche neuritiche extracellulari che contengono il peptide beta-amiloide (a-beta) e da grovigli intracellulari neurofibrillari contenenti la proteina tau. A-beta e tau sono implicati nella tossicità delle sinapsi, le connessioni tra i neuroni.
Gli scienziati che lavorano al progetto MEMOSAD ("Memory loss in Alzheimer disease: Underlying mechanisms and therapeutic targets"), finanziato dall''UE, stanno studiando a-beta e tau nell''ottica di giungere a individuare trattamenti efficaci. I componenti del team MEMOSAD hanno svolto studi molto ampi su colture cellulari, sezioni cerebrali e animali. Gli scienziati hanno in larga parte chiarito i singoli meccanismi di ogni proteina e i rapporti tra di esse.
Gli studi condotti su a-beta mostrano che la tossicità sinaptica nelle colture e le manifestazioni comportamentali di perdita della memoria nei ratti erano correlate non alla quantità delle due diverse specie (Abeta 40/42) ma al loro rapporto relativo. La proporzione normale è 9:1, mentre 7:3 è tossica. Gli esami post-mortem condotti su cervelli di pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer, inoltre, hanno indicato la fosforilazione, cioè l''aggiunta di un gruppo fosfato, di a-beta, aprendo nuove prospettive per la prosecuzione della ricerca.
Gli studi sulla proteina tau dimostrano che la sua scomposizione può generare frammenti la cui aggregazione determina tossicità. La patogenesi della proteina tau sembra essere parzialmente correlata ai difetti nel trasporto dei mitocondri, i produttori di energia delle cellule, dal corpo cellulare al terminale degli assoni. La formazione della memoria è un processo complesso, che può essere ostacolato da malfunzionamenti della fornitura di energia alle sinapsi.
Per quanto riguarda la relazione tra a-beta e la proteina tau, lo studio ha scoperto che l''a-beta 40/42 tossico disturba il sorting assonale e provoca una ridistribuzione della proteina tau in compartimenti non assonali (corpi cellulari e dendriti), uno dei primi segni della neurodegenerazione indotta dal morbo di Alzheimer. L''ingresso della proteina tau nei dendriti, ad esempio, ha determinato l''origine delle modifiche del funzionamento biochimico e delle strutture post-sinaptiche dendritiche.
Grazie a una chiara comprensione dei meccanismi neurobiologici in gioco nella malattia di Alzheimer, il consorzio ha potuto proporre vari possibili trattamenti, che hanno come obiettivo fasi specifiche dello sviluppo della tossicità sinaptica. Un composto contro l''aggregazione della tau è attualmente in corso di convalida preclinica nei ratti.
I risultati del progetto MEMOSAD permetteranno anche di ottenere informazioni preziose sulle terapie di altre malattie che presentano disfunzioni della proteina tau o perdita di sinapsi, tra cui anche la malattia di Parkinson.

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