In Italia le persone con Alzheimer o demenze senili sono
erano circa 600.000 nel 2013, il 4,3% tra le persone con più di 65 anni. Tra il
2005, anno della precedente ricerca Istat, e il 2013 si è registrato un aumento
del 50% di questo tipo di patologie sulla popolazione italiana. L'allungamento
della durata di vita certamente incide sull'aumento del numero dei casi di un
gruppo di malattie che colpisce soprattutto gli anziani. Sarà questa una delle
principali sfide della salute pubblica nel corso di questo secolo.
In assenza di una cura definitiva per la malattia, le uniche
due strade percorribili sono la diagnosi precoce, che consente interventi
rapidi con i farmaci attualmente a disposizione e può in molti casi aiutare a
rallentare la comparsa dei sintomi, e la prevenzione. Molte buone notizie sono
emerse nelle ultime settimane su entrambi i fronti.
Un team del King's College di Londra ha individuato 10
proteine la cui presenza nel sangue sarebbe predittiva della possibile
insorgenza della malattia. Il prossimo passo consiste nel mettere a punto un
esame del sangue, uno degli strumenti diagnostici più semplici, che consenta
diagnosi precoci e interventi tempestivi. Iniziando il trattamento con farmaci
prima ancora che la malattia si manifesti ci sono ottime probabilità di poter
prevenire la comparsa dei sintomi. "Prendi il farmaco, e in effetti
dovresti essere in grado di prevenire i sintomi clinici, anche se la malattia è
già iniziata nel cervello".
Uno dei motivi per i quali il trattamento con farmaci risulta
spesso poco efficace contro l'Alzheimer è che i pazienti cominciano a curarsi
quando la malattia è già in stadio avanzato. In questo senso una diagnosi
precoce potrebbe regalare diversi anni di tempo ai malati e alle loro famiglie,
nei quali la malattia non interferirebbe con la qualità della vita.
Un altro strumento per la diagnosi precoce della malattia
potrebbe essere un esame non invasivo della retina. I risultati di alcuni studi
svolti in tal senso sono stati appena presentati alla Alzheimer's Association
International Conference di Copenaghen. L'occhio è un'estensione del cervello
ed è possibile osservare qui, grazie all'impiego di marcatori fluorescenti, i
segni delle placche di beta amiloide che depositandosi nel cervello dei
pazienti causano i noti sintomi della demenza, tra i quali la perdita di
memoria. Il livello di accuratezza del test nell'individuare chi ha i primi
segni della malattia, poi confermati da successivi esami più costosi e
complicati come la PET e la risonanza magnetica, è stata dell'85%. Se da un
lato si studiano modi per diagnosticare sempre prima la malattia, non va
comunque trascurato il fattore prevenzione. Una ricerca svolta da studiosi
dell'Università di Cambridge, del King's College di Londra e di San Francisco,
appena pubblicata sull'autorevole rivista scientifica inglese Lancet Neurology,
sostiene che tre casi di Alzheimer su 10 si potrebbero prevenire semplicemente
conducendo uno stile di vita più sano.
Niente fumo, più attività fisica, peso e pressione sotto
controllo, conseguenza anche di una dieta sana, sono tutti fattori che
potrebbero aiutare a evitare il brusco aumento dei casi previsto per il
prossimo futuro dagli epidemiologi. Seguendo questi semplici consigli, secondo
gli autori, sarebbe possibile arrivare al 2050 con 200.000 casi di Alzheimer in
meno nel Regno Unito. Anche combattere la depressione e aumentare il livello di
istruzione della popolazione sono considerate mosse protettive. Anche se non
esiste un unico modo per prevenire la demenza, potremmo essere in grado di
prendere misure per ridurre il nostro rischio di svilupparla in età avanzata; sappiamo
quali sono molti di questi fattori, e che sono spesso collegati tra loro. Basta
affrontare l'inattività fisica, per esempio, e sarà possibile ridurre i livelli
di obesità, ipertensione e diabete, e prevenire in alcune persone l'insorgenza
della demenza".
Già, perché di tutti i fattori di rischio noti, l'inattività
fisica è quello maggiormente responsabile dello sviluppo della malattia sia in
Europa sia negli Stati Uniti. E la sedentarietà porta con sé altre conseguenze
nefaste come obesità, diabete, ipertensione, tutte collegate a un maggiore
rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.
Sappiamo già che quel che fa bene al cuore fa bene anche
alla testa", ha dichiarato al giornale britannico The Guardian Doug Brown,
direttore di ricerca e sviluppo della Alzheimer's Society.
E ci sono cose semplici che si possono cominciare a fare ora
per ridurre il proprio rischio di sviluppare la demenza. L'attività fisica
regolare è un buon punto di partenza, così come evitare il fumo e mangiare
seguendo la dieta mediterranea.
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