Pochi giorni or sono sul corriere della Sera del 9 Febbraio è apparso un articolo sul ruolo degli Alzheimer cafè definiti come luoghi di aggregazione per affrontare una malattia devastante come la demenza di Alzheimer, che troppo spesso si gestisce in grande solitudine, completamente “chiusi in casa”.
Uno degli obiettivi principali dell’Alzheimer cafè nato a Lissone nel settembre 2012, giunto al suo 4 incontro mensile, con un progetto proposto da Aral Onlus e sostenuto da una rete di associazioni attive sul territorio rappresentate da AVO, Auser, Autiamoli a vivere e Protezione civile, è proprio quello di superare la logica dell’isolamento che circonda il malato di demenza e la sua famiglia in una società come la nostra in cui si avverte ancora la presenza di una sorta di “stigma” di marchio che ricorda quello che in passato circondava la persona sofferente a causa di una malattia psichiatrica cronica come la schizofrenia; questo isolamento deriva dalla mancanza di conoscenza di questa terribile malattia del cervello e dall’incapacità di affrontarla adeguatamente e sostenere il pesantissimo carico che ricade per oltre il 70 % sui familiari del malato. L’alzheimer cafè è un luogo dove si attuano interventi professionali specializzati, mirati sia ai malati che vengono stimolati con svariate attività occupazionali, ludico-ricretative, che ai loro familiari a cui sono offerti strumenti di supporto e di aiuto psicologico, emotivo e socio-sanitario in un setting sereno e conviviale.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati i dati di studi basati su interventi non farmacologici sui pazienti con demenza, un ambito che è particolarmente cresciuto in termini di sviluppo e di risultati concreti ed è proprio in questa dimensione che con prospettive innovative, è stato realizzato il nostro Alzheimer cafè utilizzando differenti approcci; dalla musicoterapia, all’arte e coloreterapia anche con l’obiettivo di individuare possibilità alternative alla comunicazione basata sul linguaggio spesso così compromessa nelle persone colpite da malattia di Alzheimer. O ancora con l’utilizzo della fotografia così fortemente legata alla propria biografia al vissuto di ogni persona; in esse i pazienti ritrovano frammenti del proprio passato, vengono stimolati a costruire storie suggerite dalle immagini del loro passato, riattivando un circuito comunicativo che sembrava perduto.
Le basi della musica, ritmo-melodia-armonia, sono elementi strutturanti le esperienze pregresse di ogni persona, apprese già in fase prenatale e che costituiscono i prerequisiti evolutivi di una buona relazione con se stessi e gli altri. La musica è strutturante della materia (somatica e psichica), accompagna la crescita e lo sviluppo, favorisce l’organizzazione mentale e spazio-temporale. Stimola il recupero di capacità residue, dei ricordi, di emozioni significative e positive. Le proposte di musicoterapia in situazioni di patologie croniche-degenerative altamente invalidanti, permettono di vivere esperienze di benessere e di supporto, brevi ma significative interruzioni dal dolore e dall’angoscia quotidiana, e di sviluppare le risorse residuali e latenti a disposizione della persona. La musica, inoltre, è per sua caratteristica costitutiva energia vitale che si manifesta nella relazione e nell’incontro con l’altro, e favorisce un’opportunità unica per scoprire letteralmente possibilità “inaudite” e inedite e ritrovare, così, per quanto possibile, per quanto brevi, momenti di gioia autentica. Ci poniamo come un servizio a disposizione delle famiglie coinvolte che sono troppo sole e senza appoggi e sono pertanto a rischio della sindrome del burn out da sovraccarico emotivo che colpisce familiari, badanti e se sovraesposti persino i volontari tanto che il non profit resta spesso l’unico appiglio cui disperatamente aggrapparsi, con la consapevolezza che occorre realizzare una rete integrata e funzionante di presa in carico globale dei malati.
Il significato della arte e coloreterapia
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