martedì 31 marzo 2015

Relazione tra SLA e Demenze. Quali meccanismi in comune ?




La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dal coinvolgimento progressivo e congiunto del primo e del secondo motoneurone che porta inevitabilmente a morte nel giro di pochi mesi dall’esordio. Storicamente la prima descrizione si deve a Charcot alla Salpêtrière, verso il finire del 1800.
Applicando il suo famoso metodo anatomo-clinico, Charcot ebbe l’acume di legare mirabilmente nella definizione di questa malattia sia l’amiotrofia neurogena (da danno del secondo motoneurone), che la “sclerosi” o gliosi midollare laterale (da danno del primo motoneurone). Nomen est omen e per anni il paradigma della selettività ha, dunque, dominato inevitabilmente il campo, al punto che il classico paradosso da sempre attribuito alla SLA era quello dell’assoluto risparmio della cognitività a fronte del progressivo decadimento neuromuscolare.
Anche il nome di “malattia del motoneurone” utilizzato nei paesi anglofoni sottintende di fatto, almeno in parte, questo concetto di selettività. Negli ultimi anni, però, l’impressione che il coinvolgimento patologico nella SLA potesse estendersi oltre i motoneuroni e che, in particolare, si associasse a disturbi cognitivo-comportamentali ha preso piede in maniera sempre più incalzante. Inizialmente si tratta di veri e propri aneddoti, case reports... Eccezioni che sembrano confermare la regola.
I primi casi di associazione tra SLA e deterioramento cognitivo probabilmente datano addirittura a prima del 1900, anche se una descrizione precisa è dei primi anni del ‘900 [1]. La comunicazione di questi casi strani diventa con gli anni man mano sempre più frequente, incrementando nell’ultimo ventennio del secolo scorso, fino a quando non si assiste ad un vero e proprio mutamento di pensiero sul paradigma della selettività: a furia di leggere e pubblicare “casi improbabili”, il dato di una compromissione cognitiva viene, infatti, acquisito ineluttabilmente come parte “non improbabile” del quadro clinico di presentazione della SLA, non essendo più, dunque, una rarità da segnalare ad hoc.
Anche i criteri diagnostici della malattia, i famosi criteri di El Escorial, registrano inevitabilmente questo mutamento di posizione sulla compromissione cognitiva: da criterio di esclusione per la diagnosi nell’edizione del 1994, a possibile quadro di accompagnamento del deficit motorio nell’edizione del 1998.
Con il nuovo millennio si assiste a ulteriore mutamento: nel 2003 un articolo, ormai storico, lancia sin dal titolo un messaggio sinistro: “I pazienti SLA sono cognitivamente normali?” [2]. In questo lavoro si riporta un dato realmente inquietante: fino alla metà dei pazienti affetti da SLA risponde ai criteri di ricerca per una diagnosi di demenza frontotemporale (DFT). Da questo momento in poi si accetterà, dunque, l’idea che tra la SLA e la demenza (nello specifico frontotemporale) possa esserci un vero e proprio continuum clinico-patologico e, in effetti, sempre più lavori confermeranno questa idea, utilizzando le metodologie più disparate.
Un recente workshop tenutosi a Londra (la cittadina Canadese) ha stabilito nel 2007 i criteri di consenso su cui basare la diagnosi di sindrome frontotemporale in corso di SLA: le alterazioni dell’asse II comprendono, infatti, le anomalie cognitive e comportamentali, portando anche alla definizione di due nuove categorie diagnostiche in cui il deficit frontale si presenta in maniera subclinica: SLAci (SLA con cognitive impairment, ovvero compromissione cognitiva lieve) e SLAbi (SLA con behavioural impairment, ovvero compromissione comportamentale lieve).
La necessità di evidenziare prontamente la disfunzione nell’area frontale diventerà, infine, oggigiorno sempre più una realtà con la pubblicazione delle nuove linee guida dedicate alla malattia da parte dell’American Academy of Neurology (2009), nelle quali viene consigliata l’esecuzione di test di screening per le alterazioni cognitivo-comportamentali, ora facenti parte, in tutto e per tutto, del fenotipo della “malattia del motoneurone”. Dati recenti ci suggeriscono che questo potrebbe essere non solo un mero esercizio di pignoleria applicata alla clinica neurologica, in quanto i pazienti con SLA e DFT sembrerebbero avere malattie più aggressive e a più rapida evoluzione, e che potrebbero essere sostenute da processi fisiopatologici distinti.


Lucio Tremolizzo, MD, Ph.D.
Medico chirurgo
Specialista in Neurologia
Ph.D. in Neuroscienze




Nella Figura: i due poli della compromissione motoria (in bianco) e cognitivo-comportamentale (in nero) si compenetrenano nel continuum clinico-patologico tra SLA e DFT; (C) Lucio Tremolizzo 2011.


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