martedì 8 maggio 2012

Ecco la sintesi della relazione tenuta dal Dr. Lucio Tremolizzo dal titolo: La diagnosi di malattia di Alzheimer: Cronaca di un mutamento

All’inizio del ‘900, Alois Alzheimer fece la prima diagnosi della malattia che porta oggi il suo nome mediante l’identificazione delle lesioni neuropatologiche che ancora vengono attivamente ricercate per giungere alle stesse conclusioni: le placche senili e i grovigli neurofibrillari.
Nonostante dunque la diagnosi definitiva di malattia di Alzheimer (MdA) sia ancora raggiunta solo sul tavolo autoptico, la sfida è da sempre consistita nel generare dei criteri diagnostici che permettessero di fare diagnosi di tale tipologia di demenza in vita, in modo da poter eventualmente intervenire dal punto di vista terapeutico in modo specifico. Negli ultimi anni si è assistito a grandi cambiamenti in questo senso e i criteri diagnostici sono mutati nel tentativo di associare un caratteristico quadro neuropatologico a un particolare quadro clinico. L’introduzione di biomarcatori, quali la PET dell’encefalo con il tracciante PIB, la risonanza magnetica con la valutazione volumetrica dell’ippocampo o la misurazione liquorale delle proteine beta-amiloide e tau (elementi costituenti delle placche e dei grovigli, rispettivamente) ha rivoluzionato l’approccio diagnostico alla MdA, garantendo una diagnosi più precoce e permettendo, così, di prendere in considerazione nuovi approcci terapeutici, seppur ancor sperimentali, per esempio diretti contro la beta-amiloide. Se uno di questi nuovi farmaci dovesse un domani risultare efficace nel ritardare la progressione della demenza associata alla MdA, la diagnosi precoce potrebbe diventare un imperativo categorico da offrire a tutti i pazienti e non solo un esercizio di ricerca.

Dr. Lucio Tremolizzo neurologo Università di Milano Bicocca

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